Pietro Cafaro: "Dal seme della gratuità rifioriscono intere comunità"

L'intervento dell'economista della Cattolica al convegno per i 110 anni della Bcc Sangro Teatina

Pietro Cafaro Bcc Sangro Teatina
10 settembre 2013
La Mia Banca | 

Che ogni crisi sia diversa dalle altre è cosa scontata. Ogni crisi, però porta in se qualcosa di analogo a quelle che l’hanno preceduta. In prima approssimazione, le crisi economico-finanziarie possono essere collocate in due grandi categorie: quelle che segnano mutamenti di natura congiunturale e quelle che accompagnano grandi trasformazioni nella struttura stessa dell’economia. Quella di oggi è sicuramente una crisi strutturale di grande portata dalla quale non può che uscire un mondo fortemente modificato.

 

L’etimo della parola “crisi” conduce al verbo greco “crinein” che significa “discrimine”, “momento nel quale occorre fare delle scelte”. Proprio questo concetto ci riconduce ad un momento storico molto simile all’attuale: quella fine di XIX secolo travagliata in Italia e in Europa da una “Grande depressione” soprattutto nell’economia agricola. A quella crisi europea faceva da contraltare una speculare “Grande espansione” (in agricoltura soprattutto) dell’economia americana. Si trattò di un fenomeno inatteso, di una “proto-globalizzazione”, come qualcuno l’ha definita, che segnava un cambiamento epocale nella leadership economica internazionale: scendeva l’Europa e saliva l’America, le antiche “Nuove Indie”.

 

Per inciso, giovi ricordare che la crisi del 1907 e soprattutto quella del 1929, sarebbero state la “cartina di tornasole” di quella grande metamorfosi: in entrambi i casi la frana si sarebbe originata negli Usa e sarebbe poi piombata, ma di riflesso, in Europa. L’economia funziona sempre a “piani inclinati” ed è il vertice a dare il via, nel bene e nel male, a ogni cambiamento.

 

Quale fu la risposta, “la scelta” (per utilizzare sempre quel concetto greco insito nell’etimo) alla crisi di fine Ottocento? Fu sicuramente in due direzioni, in parte interconnesse tra loro: la più dolorosa si chiamava “emigrazione”. Prima dalle regioni del Nord, e poi gradatamente in tutte le altre, le campagne italiane iniziarono a spopolarsi e accanto al consueto espatrio stagionale cominciò ad affiancarsi e a sostituirsi l’emigrazione permanente. La seconda via fu quella di ricercare strade nuove per rendere più produttiva l’agricoltura (e la cassa rurale apparsa in quegli anni fu uno strumento inventato proprio a questo scopo) o per introdurre una economia più varia che contemplasse, accanto al lavoro nei campi anche qualche forma di industrializzazione.

 

In ciò, la cassa rurale fu meritoria perché consentì di accumulare risorse agricole che divenissero fondamento dell’industrializzazione delle aree rurali. Un’operazione, questa, che fu resa possibile per lo spirito di sacrificio e di abnegazione degli emigrati. Chi era lontano alla Patria cercava di vivere in modo frugale per mandare a casa qualche soldo in valuta pregiata. Si pensi proprio al caso dell'Abruzzo, una regione con il primato di emigrati definitivi nel periodo che va dal 1902 al 1905, quello che gli storici definiscono della “belle époque”!

 

Proprio qui nascevano numerose casse rurali, decine in tutto l'Abruzzo, che avevano un compito preciso, vale a dire quello di far rifiorire l'economia rurale, evitando di far uscire risorse dal territorio, specie quelle sostanziose rimesse che arrivavano dall'America. Così vennero riconsolidate intere comunità non solo con azioni economiche, ma dando concretezza a quel principio così bene enunciato da Giuseppe Toniolo, e di fatto ripreso e approfondito da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: la possibilità, cioè, che ci sia la presenza nel contesto economico, specie nei momenti più evidenti di difficoltà, di persone che diano senza avere nulla in cambio, che sappiano cioè piantare il seme della gratuità i cui frutti, nel tempo, si rivelano più ricchi di quelli che nascono da un'economia in cui questo valore non esiste. Proprio come facevano poveri emigranti di cui si è perso il ricordo, ma che hanno dato molto a tutti noi.

 

In quegli anni a cavallo di secolo Giuseppe Toniolo e pochi altri ritenevano che con una economia di puro scambio, basata esclusivamente sul motore dell’interesse individuale, non si sarebbe potuti uscire dalla crisi. Ebbene, oggi più che ma è necessario recuperare questi concetti. In questo senso, occorre anche riappropriarsi della politica, rivalutando in senso positivo quell'individualismo -tanti campanili, tante città- che ci ha sempre caratterizzato: la persona con la sua creatività ed il suo desiderio di costruire cose grandi può e deve ritornare al centro di tutto, per ridare slancio ad ogni cosa. Così com’è stato a fine Ottocento, anche oggi il credito cooperativo può essere la testimonianza di un modo diverso di affrontare le sfide e le crisi inevitabili. Con questo cambio di mentalità, si rimetteranno in moto meccanismi realmente in grado di rispondere a sfide complesse come quella dei giorni nostri.