Passata la crisi, non la percezione: guardare i fatti

L’analisi del vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini: il peggio è alle spalle ma l’ineguaglianza sociale crescente offusca un giudizio sereno sulla realtà

Federico Fubini Bcc Abruzzi E Molise
10 dicembre 2018
La Mia Banca | 

La crisi economica è alle spalle? Sì, no, forse. A tuffarsi, oggi, nel dibattito pubblico, non ci sono ancora certezze sul problema che ha affollato le pagine dei giornali per anni: la crisi è alle spalle per alcuni, ci siamo ancora nel mezzo per altri, altri non saprebbero neanche rispondere con sufficiente chiarezza. Dal suo osservatorio privilegiato, lo storico Corriere della Sera, il vicedirettore Federico Fubini non si meraviglia più di tanto perché “nel nostro Paese oggi più che mai manca una capacità di razionalizzare, e realtà e percezione della stessa tendono a confondersi”. Proprio con lui, dunque, proviamo a mettere un po’ di ordine, per avere elementi concreti per giudicare meglio il nostro presente e proiettarci verso il futuro con qualche certezza in più.

 

Dottor Fubini, possiamo dire che la grande crisi degli ultimi anni è alle spalle?

In termini prettamente economici, la risposta è sì: siamo in ripresa almeno dal 2014. Se si considera il rapporto tra aumento del Pil e numero di abitanti, siamo cresciuti anche di più di Francia e Germania. Al tempo stesso, però, rimangono ancora tutte quelle ragioni di debolezza che hanno reso l’Italia più vulnerabile di altri Paesi. Mi riferisco in particolare alla disoccupazione giovanile, all’impermeabilità delle professioni, a quella sensazione inutilità che tanti giovani avvertono al punto di prendere la decisione di andare all’estero a trovare lavoro. Ecco, tutto questo mette in luce la fragilità di un Paese che non riesce a sviluppare i tassi di crescita necessari, e a dissipare il rischio del venir meno di creditori disponibili a comprare ancora il nostro debito. In altri termini, è andata via più la crisi che la percezione della stessa. Al riguardo, non dimentichiamo che le crisi economiche molto profonde generano crisi politiche e sistemiche altrettanto profonde anche a distanza di anni.

 

Ci troviamo, dunque, di fronte ad una crisi politica e sistemica?

Sicuramente non capita spesso che forze di governo mettano in discussione la validità del sistema democratico. Così come non è mai capitato prima d’ora che un Presidente della Repubblica sia stato costretto a respingere ipotesi di ministri non in grado di dare sufficienti garanzie sugli impegni assunti a livello europeo. È evidente dunque che oggi siamo di fronte ad un bivio, con un Paese chiamato a scegliere tra onorare o mettere in discussione impegni assunti nel dopoguerra e dopo la guerra fredda.

 

È stata una crisi economica innescata da una crisi finanziaria. Cosa è stato fatto – se è stato fatto - negli Stati più colpiti, in particolare negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, per combattere questa crisi finanziaria e far sì che non si ripeta?

Negli Stati Uniti, l’ex presidente Obama ha promosso un significativo intervento pubblico insieme alla ricapitalizzazione delle banche. Iniziative che non hanno distrutto i soldi dei contribuenti ma, al contrario, hanno permesso un guadagno concreto. Se a tutto ciò si affianca la politica della Federal Reserve che ha generato domanda di credito, e credito a buon mercato, ben si capisce come oltre oceano si sia reagito molto bene ed efficacemente. In Europa, invece, si è intervenuti molto più tardi, praticamente cinque anni dopo, fino ad arrivare ai giorni nostri con il quantitative easing di Draghi, che ha fatto egregiamente la sua parte. Se da un lato però Obama ha fortemente regolato le banche per ridurre le crisi bancarie, dall’altro non è riuscito ad affrontare il tema delle diseguaglianze, rimasto significativo un po’ in tutto il mondo, per via della natura dell’economia contemporanea che premia i vincenti oltre il necessario. Un problema evidente anche in Europa, ma di difficile soluzione: nella stessa Germania in questi anni si è assistito ad una forte crescita delle diseguaglianze patrimoniali.

 

E in Italia?

Nel nostro Paese, come accennato, più che le diseguaglianze economiche, sono evidenti quelle sociali: è ancora troppo forte la percezione di un’immobilità che penalizza i giovani, dettata alla mancanza di opportunità.

 

Queste diseguaglianze sono reali o solo percepite?

In questo caso, la percezione della gente nasce in un contesto reale. Naturalmente, c’è chi oggi ha interesse politico ad amplificare la percezione rispetto alla realtà, ma il dato di un’immobilità sociale rimane in tutta la sua portata.

 

Tornando alla crisi, è vero che l’Italia l’ha combattuta senza un intervento pubblico significativo come accaduto altrove?

È vero. In termini di debito pubblico, nel nostro Paese il tasso di intervento statale è stato pari all’1 per cento, contro il 9 per cento della Germania, il 16 per cento dell’Olanda, o il 5 per cento degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

 

Come si spiega questo intervento pubblico di portata minore?

Sicuramente per via del fatto che il nostro debito pubblico non permetteva di fare di più.

 

Eppure, la percezione in questo caso è diversa: è opinione diffusa che “lo Stato abbia salvato le banche”.

Come nel caso dei migranti, c’è stato e c’è tuttora un interesse politico a strumentalizzare questa percezione a discapito della realtà. A mio avviso, invece, servirebbe uno sforzo per combattere ancora la battaglia della comprensione, spiegando che non tutto è nero o tutto e bianco, che la realtà è molto più complessa di quello che appaia. Invece ci si è arresi, e chi è venuto prima del governo attuale è stato quasi sprezzante nei confronti dei cittadini, che avevano ed hanno comunque esigenze concrete di conoscenza. C’è bisogno di più umiltà da parte di chi vuole guidare la cosa pubblica.

 

Nell’ambito del sistema bancario italiano, come vede ruolo del credito cooperativo?

In questi anni, tranne alcune eccezioni, le banche di credito cooperativo sono state comunque in grado di affrontare senza grossi scossoni la crisi, dimostrando una certa maturità. Maturità venuta fortemente a galla recentemente quando, a fronte di annunci di una revisione della riforma di sistema, l’intero mondo del credito cooperativo ha fatto fronte comune contro tale ipotesi, chiedendo di far almeno partire il cambiamento prima ancora di ridiscuterlo.

 

Federico Fubini

Nato a Firenze nel 1966, è inviato e editorialista di economia del Corriere della Sera, di cui è vicedirettore ad personam. Ha scritto vari saggi tra cui Noi siamo la rivoluzione (2012), con cui ha vinto il Premio Estense, e La via di fuga (2014).