Domenico Ciampoli: scrittore, traduttore, interprete di mondi

La professoressa Teresa Ferri ci conduce alla riscoperta di un personaggio atessano di alto livello culturale: un viaggio tra gli scritti e i pensieri di un grande figlio della nostra terra

Domenico Ciampoli Bcc Abruzzi E Molise
10 dicembre 2014
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Di notevole rilievo è la figura di un illustre figlio di Atessa, Domenico Ciàmpoli, uno di quegli autori etichettati frettolosamente come “minori” spesso soltanto perché carenti di copiosa bibliografia critica di riferimento e quindi impegnativi da esplorare con indagini autonome mirate e rigorose. Importante non solo nel panorama delle personalità che hanno dato lustro all’Abruzzo, ma a buon diritto anche all’interno della letteratura militante degli ottocentisti meridionali, come testimonia l’attenzione riservatagli da Benedetto Croce e da Vincenzo Della Sala. Ciàmpoli, primogenito di cinque figli, nasce il 23 agosto 1852 appunto in Atessa da modesta famiglia di origine ortonese e fin da bambino mostra grande inclinazione agli studi, che compie inizialmente nel paese natale per poi spostarsi a Vasto e quindi nel Liceo Classico dell’Aquila. Trasferitosi a Napoli per frequentarvi la Facoltà di Lettere, viene accolto nel cenacolo letterario-artistico-giornalistico dei conterranei Croce, Tosti, Barbella e Scarfoglio, che amano ritrovarsi intorno ai tavoli dello storico Caffè Gambrinus. Nella città partenopea, dove opera il movimento letterario più dinamico del tempo, con a capo Francesco De Sanctis, Domenico Ciàmpoli si laurea nel 1875. Gli anni immediatamente a seguire lo vedono dedito all’insegnamento nei Licei di Campobasso, Ancona, Foggia, Acireale, per poi far ritorno a Napoli, dove svolge attività di docente, di giornalista e di scrittore. Infatti nel 1878 pubblica la sua prima raccolta di novelle, Fiori di monte. Dati storici, espressioni in latino, in francese e in inglese, insieme a citazioni da varie fonti, infarciscono questo volumetto e ne rendono poco agevole la lettura.

 

A Fiori di monte seguono due anni dopo Racconti abruzzesi e Fiabe abruzzesi, raccolta quest’ultima ristampata nel 1980 dall’Editore Forni di Bologna. Con questi testi il Ciàmpoli comincia a farsi un nome. Tuttavia il vero successo arriva nel 1882 con Trecce nere, apprezzato da Vincenzo Della Sala con queste parole: “C’era in quelle novelle forza, varietà e potenza artistica da fare assegnare all’autore un buon posto nella giovane letteratura militante”. Trecce nere segna una tappa di notevole importanza lungo il percorso della narrativa ciampoliana. La rappresentazione e l’indagine sui conterranei qui cominciano ad assumere aspetti meno "scientifici" e tendono invece a farsi traduzione poetica delle sofferte lacerazioni che travagliano l’Abruzzo, mentre il linguaggio, nella sua "rudezza", rispecchia l’orgoglioso piglio e la tormentata umanità di una popolazione ricca soltanto di valori in lento e inesorabile declino.

 

Sempre con il proposito di dar voce e dignità letteraria alle condizioni di povertà endemica dei propri fratelli abruzzesi, il Ciàmpoli pubblica successivamente, con la casa editrice romana Sommaruga, l’elegante volumetto Cicuta, i cui racconti compariranno nel 1890 anche nella raccolta Fra le selve. Novelle abruzzesi, di cui la scrivente ha curato la ristampa nel 1981 per i tipi di Forni. Qui l’atteggiamento dello scrittore si fa criticamente partecipe, la scena testuale acquista anche una dimensione socio-politica e apre il sipario sui drammatici riti consumati dal potere ai danni di una collettività vessata dalla miseria e dall’analfabetismo. Nello stesso anno in cui esce Cicuta, nel 1884, il Ciàmpoli si cimenta con il genere del romanzo pubblicando Diana, cui segue nel 1889 il secondo romanzo, Roccamarina. La scrittura acquista un respiro più vasto, la struttura si fa più complessa, mentre il ristretto mondo contadino delle novelle amplia i suoi confini al più esteso ambito del borgo, per soffermarsi sul ricco e corrotto ambiente provinciale. Cambia dunque la cornice e mutano panni i personaggi: la piccola e media borghesia prima e l’aristocrazia poi diventano i protagonisti assoluti dei romanzi, il cui ciclo si completa con l’uscita de L’Invisibile nel 1896 e de Il Barone di San Giorgio nel 1897. All’attività di narratore Ciàmpoli accompagna quella di traduttore e di critico, grazie alla sua grande versatilità linguistica nonché al periodo trascorso a Venezia per riordinare la Biblioteca Marciana e successivamente a Roma per ristrutturare le biblioteche Nazionale, Casanatense e Lancisiana.

 

Profondo conoscitore della storia e dello spirito slavo, Ciàmpoli dedica particolare impegno alla divulgazione di importantissime opere russe. Cura traduzioni di Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Gogol, né trascura testi provenzali, francesi, inglesi, tedeschi, polacchi, serbi, macedoni, ungheresi e norvegesi, in versi e in prosa. Tuttavia questa infaticabile attività di traduttore, e quindi di interprete di altri mondi e pensieri (secondo l’acuta definizione del Pasquali dei traduttori sensibili e naturalmente aperti a culture diverse) non allontana Domenico Ciàmpoli dal suo Abruzzo e dalla sua Atessa. Anche se con i suoi studi egli varca i confini della sua regione e della stessa Italia e si muove all’interno delle più differenti lingue e culture, non dimentica mai di tornare alle origini, con la penna e con il cuore.

 

Ciàmpoli, morto a Roma nel 1929, dà voce commossa alle sue radici non soltanto assegnando dignità letteraria a leggende e tradizioni popolari all’insegna del verismo più accreditato, ma anche, e brillantemente, tornando con nostalgia al paesaggio d’origine, che descrive con la commossa sapienza di un figlio che la vita ha portato lontano. Conoscere e ricordare Ciampoli per un atessano significa dunque rispettare e difendere la propria storia identitaria e conservare memoria di chi ne ha fatto rigorosa materia di studio e di poesia.

 

Teresa Ferri

È ricercatrice di Critica letteraria e letterature comparate presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Dopo aver insegnato (nel biennio accademico 1991-1993), sempre nella Facoltà di Lettere e Filosofia, Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea e Teoria della letteratura (ininterrottamente dall’anno accademico 1993-1994 al 2002-2003), nell’anno accademico in corso è docente di Teoria e pratica del testo letterario. Dal 1981 al 1998 ha insegnato Letteratura italiana nell’ambito del Corso Superiore afferente ai Corsi Estivi di Lingua e Cultura Italiana per Stranieri dell’Università di Urbino. Ha tenuto diverse conferenze a corsi di aggiornamento e formazione per insegnanti, organizzati dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e da associazioni culturali nazionali. I suoi interessi critici si sono indirizzati all’analisi di testi prevalentemente otto-novecenteschi e allo studio delle complesse problematiche della rappresentazione letteraria nell’ottica di una costante attenzione rivolta al coniugarsi di teoria e prassi letteraria all’interno di testi e generi anche molto distanti tra loro. Il rapporto tradizione-innovazione, le relazioni intertestuali e i relativi problemi di ri-uso, le complesse questioni inerenti all’atto della lettura, l’articolarsi della risposta letteraria a partire dal binomio lettura-scrittura, le modalità idiolettali della rappresentazione letteraria costituiscono un ulteriore argomento di approfondimento e di indagine, anche didattica.