Trabocchi: un ardito ponte tra terra e mare

Viaggio nella costa che incantava D'Annunzio, tra calette e borghi marinari che parlano di un Abruzzo autentico. E buona cucina che sa rendere indimenticabile l'estate

Trabocchi Bcc Abruzzi E Molise
10 agosto 2016
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"Mio nonno è campato novant'anni, e l'ha raccontato a mio padre, che è morto a quasi novant'anni. Mio padre l'ha raccontato a me che ho ottantacinque anni... Ho un'esperienza di duecentosessantatrè anni". Volto rugoso e scolpito dallo scirocco, Tommaso Verì è forse l'ultimo depositario di un sapere secolare che parla di mare e terra, venti e mareggiate, scogliere e gabbiani, in quel groviglio di reti, pali, argani, antenne, passerelle, legno e corde che va sotto il nome di "trabocchi", le affascinanti macchine da pesca che si protendono sul mare, quasi puntellando tutta la costa della provincia di Chieti.

 

Per secoli, il litorale tra Ortona e San Salvo è stato il regno di traboccanti come Tommaso Verì, abili e ingegnosi pescatori che per vivere pensarono di affacciarsi sul mare invece di solcarlo, ideando queste palafitte definite da Gabriele D'Annunzio ne "Il Trionfo della Morte" "una grande macchina pescatoria, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano". Oggi, quel litorale si chiama proprio Costa dei Trabocchi: lungo i suoi circa cinquanta chilometri se ne contano una trentina nei pressi di piccole calette di sabbia e ghiaia bagnate da un mare incredibilmente verde. Intorno, borghi marinari e cittadine nobiliari, ben otto aree naturalistiche protette, abbazie, agrumeti e vigneti e oliveti, in un itinerario in fase di ulteriore potenziamento grazie alla prossima istituzione del Parco della Costa dei Trabocchi e all'ultimazione di un percorso ciclopedonale sull'antico tracciato ferroviario adriatico.

 

Di questi trabocchi, diversi sono diventati ristoranti di charme: mangiare pesce appena pescato affacciati sul mare, magari con la luna che ammicca all'orizzonte e coccolati dal solo rumore delle onde, è un'esperienza da non perdere.

 

Il viaggio costeggia l'intero litorale. Imboccata la statale 16 in direzione sud da Francavilla, subito si incontra la bella Ortona con il suo castello aragonese. A seguire, spiagge e calette selvagge, raggiungibili da stradine e sentieri segnalati, si alternano senza sosta. Nei territori di San Vito Chietino e Rocca San Giovanni c'è la prima grande concentrazione di trabocchi. Prendono i nomi delle punte su cui sorgono - Punta Fornace, Punta Tufano, Punta Isolata, Punta Turchino, punta Cavalluccio, punta Punciosa e Punta Sasso della Caiana per citare i più noti - e quasi tutti sono di proprietà di discendenti della famiglia Verì. "Sull'origine dei trabocchi - spiega Gaetano Basti, giornalista e divulgatore - ci sono molte controversie. Sappiamo che nel Seicento arrivarono in zona famiglie di origine ebraica che probabilmente costruirono alcune di queste macchine. Quelli che vediamo oggi sono in buona parte dell'Ottocento, mentre altri sono ricostruiti".

 

Alcuni trabocchi sono visitabili su prenotazione, qualcuno è ancora in funzione: i traboccanti calano lentamente le reti svitandole grazie ad un argano, per poi ritirarle su con il pescato. Altri ancora sono diventati ristoranti che ripropongono la cucina marinara locale. Spiega Lucio Biancatelli, figlio della studiosa Maria Teresa Olivieri che anni fa dedicò alla cucina dei trabocchi un fortunato volume: "Si tratta di una cucina povera, dove il mare incontra la terra: i piatti qui sono a base di pesce e verdure, soprattutto il pomodoro, il cui uso è diffusissimo nella zona. Non mancano gli altri sapori del territorio: olio extravergine e vino, bianco e rosso. La massima espressione rimane il famoso brodetto, con il pescato dei trabocchi come merluzzi, sogliole, scorfani, triglie e tracine cucinati in salsa di pomodoro nei cocci di terracotta". Sui trabocchi o in uno dei tanti ristoranti della zona, la proposta contempla anche numerosi antipasti di mare, primi a base di pasta fatta a mano e ragù di pannocchie, un'immancabile frittura di paranza, e gran finale con i "cellipieni", dolcetti con farina e marmellata d'uva. A San Vito merita una visita l'eremo e il promontorio dannunziano, con una vista eccezionale sulla costa, mentre in zona Vallevò si può andare alla ricerca di deliziosi agrumi, la cui produzione nella zona è antichissima: vi furono importati probabilmente dalle stesse famiglie sefardite che costruirono i trabocchi.

 

La bellezza e i colori della costa raggiungono l'apice a Fossacesia, con le sue ampie spiagge di sassi bianchi e la spettacolare abbazia di San Giovanni in Venere affacciata sull'omonimo golfo: un paesaggio mozzafiato, che spazia fino a Vasto. La chiesa, in romanico abruzzese, è del XII secolo: maestosa e austera, è circondata da ulivi secolari.

 

Dopo Fossacesia le spiagge si fanno via via meno selvagge, fino a diventare dune di sabbia. Dapprima c'è Torino di Sangro, con il suo lido ampio Le Morge e la sua Lecceta, un'area protetta con un bosco di macchia mediterranea dove è possibile imbattersi in rare tartarughe. Poi, dopo Casalbordino e il suo santuario della Madonna dei Miracoli, si arriva al territorio di Vasto. In questo lembo finale d'Abruzzo, le ultime tre esperienze di grande suggestione. La riserva di Punta Aderci accoglie e protegge gallinelle d'acqua, aironi cenerini e fratini, mentre la successiva spiaggia di Punta Penna nei pressi del faro abbaglia con i suoi colori caraibici. Qui, una giornata tra mare e natura è impagabile. Se la si vuole concludere nel segno della bellezza, diventa imperdibile una visita a Palazzo D'Avalos, cuore di una Vasto elegante e ricca di colori. I colori accesi che sembrano riassumere il calore e il fascino di un itinerario difficile da dimenticare.