San Martino in Pensilis: di uomini, fede, animali e cibo insuperabile

A pochi passi dall’Adriatico, su un colle con un affaccio strepitoso, un borgo che invita il visitatore a coinvolgersi con tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Don Nicola Mattia ci accompagna alla scoperta di un paese da vivere

San Martino In Pensilis Bcc Abruzzi E Molise
10 aprile 2021
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Se siete amanti di turismo esperienziale, San Martino in Pensilis è proprio il luogo adatto a voi. Non si viene in questo bel borgo molisano solo per lasciarsi conquistare dalle splendide chiese come la parrocchia di San Pietro, le strette stradine, le signorili piazze, gli storici palazzi come quello baronale oggi sede in parte del municipio e gli affacci mozzafiato sulle valli circostanti. E non si raggiunge questo colle soleggiato solo per degustare le mille squisitezze di una cucina di assoluta eccellenza, a partire dalla “pampanella”. Si arriva in quel di San Martino in Pensilis per immergersi da protagonisti in un ricco calendario annuale di appuntamenti fatti di persone e animali, cibo e fede, riti antichi e bellezza moderna. A San Martino in Pensilis, non si viene per visitare: si viene per vivere.

 

Ne è certo don Nicola Mattia, dinamico e colto parroco che volentieri ci accompagna alla scoperta del “genius loci” di questo paese che conta poco meno di 5 mila abitanti e che sorge a 281 metri sul livello del mare, a pochi chilometri da Termoli e dal mare Adriatico.

 

“Ci sono tre ragioni per arrivare qui da noi – dice don Nicola –: l’affabilità dei sammartinesi, la ricchezza delle tradizioni e la bontà della cucina”. Che poi, sono tre elementi che ritornano in tutti gli appuntamenti in cui l’anima del paese viene fuori con più forza. E allora, proviamo a conoscere San Martino in Pensilis proprio con il calendario alla mano.

 

A gennaio, il giorno 23 la comunità festeggia lo Sposalizio di San Giuseppe con Maria. “Nelle case dei sammartinesi – spiega il parroco - si allestiscono altarini devozionali, e al visitatore vengono offerti dolci della tradizione”. Qualche giorno dopo, il 3 febbraio, si festeggia San Biagio. Spiega don Nicola: “È la festa in cui compaiono per la prima volta gli animali, protagonisti insieme al cibo di tanti altri imperdibili momenti di vita locale. Quel giorno, circa duecento persone a cavallo, dopo aver ricevuto la benedizione in piazza, si recano in pellegrinaggio sui resti di un’antica chiesa intitolata a San Biagio, nei dintorni di San Martino, dove compiono tre giri attorno ai ruderi, raccolgono dei sassolini che poi portano con loro in paese per il gran finale, sempre in piazza”. A marzo, in occasione della festa di San Giuseppe (19 marzo), il cibo torna protagonista: “Se il giorno prima si allestiscono altarini nelle abitazioni, il giorno della festa le famiglie preparano i bucatini con la mollica, che vengono offerti alle persone che lo mangiano anche con le mani, in strada, insieme alla “composta”, un sottaceto particolare con vari tipi di frutta e verdura raccolti durante tutto l’anno, di probabile derivazione balcanica. Infine, quel giorno le famiglie che hanno allestito l’altare ospitano a casa a pranzo tre persone povere o bisognose del paese, a rievocare la Sacra Famiglia composta proprio da Giuseppe, Maria e Gesù”.

 

Tra fine aprile e inizio maggio, a San Martino in Pensilis si raggiunge l’apoteosi con la corsa della Carrese “un rito che si perde nella notte dei tempi – racconta don Nicola -: documenti di fine Settecento ne parlavano con una minuzia di particolari molto simili a quelli dei nostri giorni, che testimoniano una prassi evidentemente già consolidata”. La competizione tra carri trainati da buoi si svolge il 30 aprile e ha lo scopo di decretare quale squadra avrà l’onore di portare il busto di San Leo, patrono di San Martino, in processione il giorno 2 maggio. Tre le squadre coinvolte o, meglio, i “partiti”: giovani, giovanotti e giovanissimi, distinte rispettivamente dai colori bianco-celeste, giallo-rosso e giallo-verde. “La corsa è ovviamente il momento culminante, ma il rito inizia in qualche modo prima. Il 23 aprile prende il via la novena, e la squadra vincitrice dell’anno prima riporta in chiesa il palio, vale a dire lo stendardo. Il 28 c’è la messa con i carrieri, il 29 si mangia nelle stalle dei buoi che competono. Il pasto è quello tradizionale: un piatto di seppie e piselli. Il 30 è il giorno della corsa e il 2 maggio la solenne festa di San Leo, con la processione che vede i vincitori portare sul carro vincente il busto-reliquiario del santo”. Un tempo, erano undici i chilometri della corsa, più recentemente sono diventati sei. Ogni carro è trainato da due buoi, che vengono sostituiti da altri due a metà corsa. In totale, quindi, sono dodici gli animali coinvolti: “Si tratta di capi che vengono curati durante tutto l’anno, direi quasi vezzeggiati: nutriti con un’alimentazione specifica, allenati, puliti. Il loro benessere è al centro delle attenzioni dei carrieri, e simboleggia in qualche modo quell’alleanza uomo-natura che introduce al rapporto con l’Eterno. Non a caso – conclude don Nicola – la carrese non è una competizione come le altre: è una festa, e in festa si conclude sempre. La sana rivalità non travalica mai l’appartenenza di tutti alla comunità. Anche per questo, la festa si conclude proprio con i protagonisti che, insieme, mangiano la pampanella: il cibo dell’amicizia, che si consuma con il sorriso sulla bocca”.

 

 

La chiesa parrocchiale di San Pietro

È il cuore della religiosità sammartinese: conserva, al suo interno, le spoglie del venerato protettore San Leo, nativo proprio di San Martino in Pensilis. Ricostruita nel 1750 e decorata in stile barocco, vi si accede tramite una bella scalinata. Da non perdere la cupola, decorata da Vincenzo Palombo. Dietro l'altare maggiore c'è l'artistico coro ligneo semicircolare. Sopra vi è uno fra i più belli e monumentali organi di tutto il Molise, costruito nel 1771. Ai lati ci sono vari altari di santi in marmo bianco, tra i quali spicca quello di San Leo, protettore del paese. 

Per informazioni: 0875604914

 

 

La “pampanella”

È un piatto della tradizione, forse collegato alla transumanza, che valorizza la carne di maiale con spezie che abbondano in questo territorio. Prende il nome dall’usanza di avvolgere la carne con le foglie di vite, i pampini, poi sostituiti da carta paglia. La preparazione è piuttosto semplice: i pezzi di carne, non troppo grandi, vengono conditi con sale, aglio e abbondante peperoncino dolce e piccante macinato, che ne determina il colore. Dopo una “decantazione” in teglia, la pampanella viene coperta con carta paglia bagnata nell’aceto e, infine, cotta in forno a 300 gradi per circa due ore. Se in passato veniva preparata proprio in occasione della corsa dei carri di fine aprile, ora è possibile trovarla tutto l’anno in botteghe e macellerie che la preparano con antica maestria.