Dalla pandemia un nuovo ruolo per il territorio: l'ora della filiera corta

Il professor Pietro Cafaro riflette su come sta cambiando il sistema industriale, economico e creditizio italiano per via del covid. “Le Bcc sono rimaste le uniche, vere banche che sostengono lo sviluppo locale”

Pietro Cafaro Bcc Abruzzi E Molise
10 aprile 2021
La Mia Banca | 

Crisi come cambiamento, crisi come opportunità, crisi come riscoperta della vocazione di un sistema, crisi come processo dagli esiti a volte imprevedibili. Ne è convinto il professor Pietro Cafaro, direttore del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea e docente di Storia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che riflette con noi su ciò che la pandemia ha portato al nostro sistema industriale, economico e creditizio.

 

Professor Cafaro, il sistema economico mondiale si è imbattuto in due crisi nel giro di una quindicina di anni (subprime del 2008 e covid 2020): quali le differenze tra queste due fasi?

Si tratta di crisi molto diverse anche se molto vicine. Quella del 2008 (iniziata in realtà qualche anno prima) è qualcosa di epocale perché mai avvenuta in precedenza, anche se di fatto affonda le radici nel periodo di profondo cambiamento che ha attraversato il Paese e l’Europa nell’ultima parte del Novecento. È figlia della globalizzazione, della liberalizzazione dei sistemi bancari, quindi di una realtà che sembrava ineluttabile, che prendeva le mosse da un mondo che si apriva su scala molto ampia, e da sistemi finanziari senza vincoli che sostenevano questa economia. Dietro la crisi dei subprime c’è anche l’illusione di riuscire a dominarli, questi sistemi finanziari, e l’illusione di aver trovato la scienza per poter eliminare le crisi stesse, grazie ad una suddivisione molto sofisticata del rischio, tale da permettere un equilibrio costante. Così, se la banca si ritrova a dover investire il denaro in prestiti ma non ha sufficienti fruitori di questi prestiti, si fida non solo agli “affidabili”, di coloro cioè che hanno garanzie, ma anche a frange di popolazione “inaffidabile”, persone che per reddito e situazione economica sicuramente non sono pronte a restituire il denaro preso a prestito. La logica che stava dietro a questo meccanismo era proprio questa: prestiti concessi anche ad inaffidabili con tassi altissimi, con il confezionamento di titoli sempre più sofisticati legati ai prestiti, dentro un meccanismo di scatole cinesi pensate per diversificare il rischio ma che, di fatto, ha reso ineluttabile la perdita di questo denaro. Dietro a tutto questo credito c’era, poi, la garanzia degli immobili, che sembrava sufficiente, ma la cui abbondanza ha determinato proprio la bolla che ha fatto crollare i loro prezzi e di conseguenza tutto il meccanismo. Ecco, quindi, che dalla crisi edilizia si è arrivati a quella finanziaria, particolarmente temuta nel nostro Paese, dove abbiamo una filosofia di investimento che vede nel mattone un elemento di solidità assoluta. Di qui alla crisi dell’economia reale il passo è stato molto veloce. La crisi del covid è invece un’altra cosa: sono rallentati i consumi per la pandemia e per il lockdown, e i sistemi economici sono stati colpiti ovunque, come in guerra. Siamo di fronte ad una situazione completamente nuova.

 

Questa crisi potrebbe cambiare, e come, il sistema industriale italiano e mondiale?

Lo si vede già, osservando quello che avviene in questi giorni. La pandemia ci ha costretti a tenere in considerazione anche la filiera corta, non solo quella lunga. Eravamo abituati a non pensare che, di punto in bianco, i rapporti con altre economie potessero interrompersi. E invece è avvenuto in pochi mesi. Il primo effetto, quindi, è stato la rivalutazione della filiera corta, la necessità cioè di tener presente il valore dell’economia locale non solo nei beni di prima necessità ma anche per quelli apparentemente secondari ma divenuti importanti all’improvviso. L’altro elemento è stato l’espansione di alcuni settori: dalla logistica alla comunicazione telematica. Si pensi, al riguardo, che abbiamo fatto passi da gigante che altrimenti avremmo percorso in decenni: la pandemia ha costretto scuole e università a ricorrere alla fibra, e sul mercato questi prodotti sono diventati tantissimi. Certamente, poi, lo smart working continuerà e rivoluzionerà i sistemi produttivi nel loro insieme, perché le imprese cercheranno di risparmiare. Naturalmente tutto ciò si ripercuoterà su tutti quegli ambiti che vivono di mobilità, come i mezzi di trasporto o la ristorazione vicino a fabbriche e agli uffici. Insomma, il sistema dovrà tenere gli occhi aperti, dotarsi di strumentazione migliore e continuare a riscoprire il grande valore del locale.

 

Cosa ci insegna la storia in merito alle caratteristiche che deve avere un sistema industriale per affrontare una crisi senza soccombere?

Elasticità, visione, capacità di volare alto. Tradotto, vuol dire rischiare, ma non rischiare a vuoto: cercare di immaginare quello che può succedere in futuro. E ancora: capacità di vivere in una situazione complessa. Si pensi alla necessità di gestire questa crisi sanitaria con le varianti che stanno venendo a galla. I decisori, da parte loro, devono avere la capacità di regolare rapidamente il sistema sulla base di ciò che accade.

 

Quali limiti e quali pregi del sistema industriale italiano sono emersi con forza nel corso di queste crisi?

Il pregio è stata la grande capacità delle piccole imprese che già operavano nel locale. Ebbene, per loro è venuto il momento di organizzarsi in una logica sistemica. Al riguardo, ricordo che il grande economista Alfred Marshall molti decenni addietro parlava di distretti industriali, realtà fatte da piccole e medie imprese coordinate tra di loro [Principi di economia, pubblicato nel 1898]. Ecco: è necessario ora riscoprire questa logica di rete. Chi, come le Bcc, si occupa di banca locale, normalmente coordinata con altri istituti, questo aspetto già lo conosce bene, e deve sostenerlo il più possibile. Ritengo poi che un grande ruolo possa averlo anche il non profit, quel mondo volto alla produzione e redistribuzione di ricchezza diversa dal profitto individuale. Un modo di fare economia antico ma anche molto moderno.

 

Un sistema industriale ha bisogno del credito o della finanza? Dove finisce il bisogno dell’uno e inizia quello dell’altra?

Noi sentiamo spesso parlare di banche del territorio, anche a proposito di quelle che raccolgono sul territorio ma investono chissà dove. Abbiamo sicuramente bisogno di credito, in particolar modo le imprese che stanno sul territorio, protagoniste in questo periodo: c’è un forte bisogno che il denaro in ambito locale rimanga lì dove nasce.

 

Banche del territorio come le Bcc sono in grado di affrontare, nei loro territori, crisi come quelle degli ultimi anni?

Le Bcc devono essere leader di questo cambiamento. Sono rimaste le uniche a presidiare il territorio, e purtroppo sono un po’ in mezzo al guado per via di una riforma incompleta. In ogni caso, siamo in una situazione che ha dato loro una struttura di sicurezza anche di insieme, ma ciò che conta è che sono rimaste davvero accanto alla gente. È sempre più decisivo, oggi, che l’interlocuzione tra vertice e base sia sempre più solida. Ricordiamo che nel mondo del credito cooperativo il vero vertice è la base, perché siamo in presenza di una piramide invertita. Per questo, la punta più alta e la base devono colloquiare, devono ben organizzarsi, devono fare in modo che queste banche riescano a ottenere quei risultati economici che permettono di rimanere sul mercato, tenendo fede al tempo stesso alla propria vocazione di banche dei territori, che si sono autorganizzati per rispondere ai problemi del territorio stesso.

 

C’è qualcosa che le Bcc dovrebbero cambiare nel loro modo di fare banca?

Sicuramente bisogna spingere sui cambiamenti telematici: oggi è impensabile avere sportelli che funzionano come trent’anni fa. Ci sono applicazioni che rendono quasi obsoleto rapporto personale, che però non va cancellato, perché le Bcc sono sempre banche delle persone e dei soci. Va ricordato che le banche di ispirazione cristiana a inizio Novecento innovarono introducendo il “ristorno comunitario”: se in altri ambiti la redistribuzione degli utili andava alle persone, in quelle di ispirazione cristiana venivano riversati sul territorio. Dunque, sì ad un ammodernamento della strumentazione e dei mezzi, ma deve rimanere centrale la capacità di utilizzare in modo elastico il denaro per espletare la vocazione più antica.

 

In definitiva, alla luce dei cambiamenti degli ultimi anni, lei come immagina fra dieci anni il sistema industriale italiano e quello mondiale?

Molto mutato. Penso ad un sistema maggiormente globalizzato, pur in presenza di aggiustamenti per far fronte alla globalizzazione selvaggia: indispensabile, per esempio, la salvaguardia dei diritti in quelle aree del mondo dove si produce a bassi costi. Immagino un sistema dove vi sia libertà di scambio con attenzione a certi valori, come il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia delle persone. Immagino un sistema dove l’Occidente rinforzi la sua presenza nel mondo, e dove un’Europa più forte e meno burocratica, più legata ai principi originari dei padri fondatori, cammini insieme all’Occidente liberale. Immagino un sistema industriale dove, insieme al privato, ci sia il pubblico che produca beni di prima necessità e una forte componente di non profit e di imprese non volte al lucro individuale ma che prestino servizi, come nel campo delle concessioni, ad esempio le autostrade. Immagino un sistema che faciliti la filiera corta, specie per quei beni che siano salvaguardati e prodotti sempre, anche quando siamo in presenza di incidenti come la pandemia che nessuno poteva immaginare.

 

 

Pietro Cafaro

Pietro Cafaro è professore ordinario di Storia economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Direttore del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea. Specialista degli aspetti finanziari dell’evoluzione economica si è occupato a lungo di storia del credito cooperativo. Si segnala, tra le sue opera, il volume La solidarietà efficiente per il quale gli è stato attribuito il Premio Capalbio-economia. Recenti pubblicazioni sul tema sono Volare alto  (Ecra 2019), Passaggio d’epoca (Ecra 2018), Credito e responsabilità sociale: una prospettiva storico-aziendale (Vita e Pensiero 2021 con E.Beccalli).