Chieti-Vasto: terra di fede, cultura ed economia reale

L’arcivescovo Bruno Forte ci presenta una diocesi antica, piena di slanci e di generosità, con persone e famiglie alle prese con una situazione che risente ancora della crisi degli anni scorsi

Bruno Forte Bcc Abruzzi E Molise (3)
10 dicembre 2020
La Mia Banca | 

Eccellenza, ci presenti la diocesi di Chieti-Vasto.

La diocesi si estende su una superficie di 2500 chilometri quadrati, su cui vivono 310 mila abitanti. Le parrocchie sono 148, di cui 136 con parroco residente, altre unite nella persona del parroco di una parrocchia vicina perché molto piccole. I sacerdoti sono 124, i religiosi 80, i diaconi permanenti 22. La diocesi esiste almeno dal IV secolo. I santi protettori sono Maria Mater Populi Teatini, San Giustino vescovo di Teate (Chieti) del IV secolo, l’Arcangelo San Michele. Tra le ricorrenze diocesane più importanti nel corso dell’anno cito la Mater Populi (11 ottobre), San Giustino (11 maggio), San Michele (29 settembre), la processione del Cristo Morto a Chieti il Venerdì Santo, la processione della Sacra Spina a Vasto il venerdì precedente la Domenica delle Palme.

 

Quali le attività pastorali più rilevanti nella sua diocesi?

Quelle ordinarie sono la liturgia, catechesi dell’iniziazione cristiana a tappeto, catechesi prematrimoniale, pastorale familiare, pastorale ospedaliera, pastorale carceraria, pastorale per residenze anziani, pastorale nell’ambito militare, pastorale universitaria e della cultura, pastorale sociale e del lavoro, convegni diocesani annuali e convegni catechistici annuali. Tra quelle straordinarie, invece, cito il sinodo diocesano 2004-2008, la visita pastorale 2008-2013, la missione popolare del 2013 e seguenti, la visita pastorale dal 2019 e i convegni liturgici.

 

Quali le attività sociali più significative?

In questi anni in diocesi sono stati organizzati convegni e iniziative della pastorale sociale e del lavoro insieme a iniziative culturali in Università e non solo su temi di interesse sociale.

 

Da un punto di vista prettamente religioso, la gente della sua diocesi è gente di fede?

La presenza della Chiesa resta generalmente apprezzata e amata, con una crescita di attenzione e anche un lieve incremento della frequenza domenicale a macchia di leopardo. Il clero dell’arcidiocesi è autoctono nella quasi totalità, dà buona testimonianza di fede, ama il suo popolo ed è amato dalla gente. L’intenso lavoro di pastorale giovanile e di proposta vocazionale pare produrre frutti (tra l’altro nei nuovi ingressi in seminario). L’ascolto prestato al magistero del Pastore diocesano è ampio e attento, come dimostra fra l’altro l’apertura incontrata per tutte le iniziative prese in ambito universitario e scolastico. La presenza dei religiosi e delle religiose è abbastanza ampia e significativa. L’apostolato dei laici è parimenti vivace, come dimostra la presenza diffusa dell’Azione Cattolica e quella di movimenti e associazioni, che lavorano in spirito di comunione anche grazie al coordinamento operato dalla Consulta diocesana delle aggregazioni laicali. Forme di chiusura o di isolamento non mancano, ma possono considerarsi sporadiche e non determinanti nell’azione pastorale complessiva della Chiesa locale. Le priorità pastorali perseguite sono diverse: la cura della comunione fra i presbiteri e il Vescovo, l’attenzione alla vita consacrata in tutte le sue forme, l’impegno nell’ambito della catechesi per l’iniziazione e la vita cristiana, l’attenzione alla pastorale giovanile, curando in essa specialmente la pastorale vocazionale, l’impegno nella pastorale familiare e della preparazione al matrimonio (molto curata: in questo ambito l’arcivescovo incontra tutti gli anni i fidanzati, fra cui è in costante crescita la presenza di coppie di conviventi, in preparazione al sacramento del matrimonio nelle zone pastorali e guida il pellegrinaggio a Loreto ad essi dedicato),  la decisa azione nella pastorale della cultura, della scuola e dell’università (dalla catechesi ai docenti tenuta dall’arcivescovo con scadenza periodica, alle “Quaestiones Quodlibetales” promosse in collaborazione col Rettore Magnifico, ben frequentate, alla pastorale universitaria fra i giovani, con sede in una cappellania offerta dall’università all’interno del Campus e cooperazione fra Fuci, Cl, Società San Giovanni e Cappellano dell’Università), la nuova privilegiata cura della pastorale parrocchiale, come cellula germinale indispensabile della vita di fede, i rapporti di cooperazione con tutti i movimenti e le aggregazioni laicali e, infine, la sensibilizzazione costante all’impegno missionario della Chiesa (la diocesi è fra le prime cinque in Italia per offerte alle missioni; molto efficace risulta il gemellaggio con la Diocesi di Tuticorin nel Tamil Nadu in India).

 

Dal suo punto di vista, che territorio è quello di Chieti-Vasto per quanto riguarda l’economia, la società e la politica?

La situazione socio-religiosa del territorio dell’arcidiocesi è caratterizzata mediamente da una buona qualità di vita. Costituiscono certamente fattori positivi la vastità e qualità dell’ambiente, la laboriosità e dignità delle persone, la tenuta di valori tradizionali forti. Ha presentato invece alcuni problemi negli anni della crisi iniziata nel 2008 la tenuta del benessere economico, che si era prodotto negli ultimi decenni grazie alla facilitazione delle comunicazioni col resto del paese (buona rete autostradale e stradale), allo sviluppo del turismo (marino e montano), all’insediamento di grandi complessi industriali (nella Val di Sangro, come nella Val Pescara, nella Val Sinello e nel Vastese), alla cooperazione e ottimizzazione nel campo dell’agricoltura (cantine sociali, industrie alimentari, ecc.). Le conseguenze della crisi ancora non del tutto superata si colgono in una crescente insicurezza delle famiglie e dei giovani riguardo al futuro, e nel conseguente più ampio spazio che si apre a tentazioni di facili guadagni ottenibili per via disonesta (segnali in tal senso sono riscontrabili specialmente nel Vastese, per infiltrazioni della delinquenza organizzata provenienti da altre aree del Paese). Il fenomeno dello spopolamento e dell’invecchiamento della comunità montane e della crescita abitativa degli insediamenti vicini alla costa produce, poi, nuove sfide pastorali (dalla necessità di costruire nuove chiese, cui si stanno dando risposte precise, alle urgenze di nuova evangelizzazione delle comunità che vanno trasformandosi).

 

Quali le emergenze più importanti? E quali i punti di forza di questo territorio?

Certamente la crisi in atto minaccia l’occupazione e le attività commerciali e di artigianato. Resiste però lo zoccolo duro della laboriosità della gente e della sua capacità di iniziativa, che si esprime in molteplici attività disseminate sul territorio e che hanno avuto talora sviluppi sorprendenti (ad esempio la Fater nasce da una piccola azienda di un fabbro e oggi è presente a livello globale, tanto da produrre le componenti in acciaio dei missili e satelliti spaziali degli USA); una piccola azienda familiare è oggi la maggiore fornitrice di tappi metallici dentellati (sei milioni di pezzi al giorno, specie per la Coca Cola e non solo). Le priorità sono: attenzione al mondo del lavoro e molteplici attività della Caritas (caratterizzata da vari Centri di ascolto sul territorio e da “opere segno” di particolare valore: dalle Case di accoglienza - come quella della Capanna di Betlemme affidata alla Comunità Papa Giovanni a Chieti, con in media 60 ospiti, la Mater Populi a Chieti per donne che vivono in strada, e la Casa Manuela a San Lorenzo di Vasto per detenuti in uscita dal carcere, alle mense, all’accoglienza gratuita per i parenti dei degenti in ospedale, ecc.). Si è attenti a mantenere l’indipendenza dalla politica di parte, a promuovere la vicinanza ai più deboli, specie con l’azione della Caritas e l’apertura missionaria. Una grande sfida da portare avanti è quella dell’incessante richiesta al Padrone della mèsse perché mandi altri operai alla Sua mèsse, benché l’arcidiocesi vanti un clero autoctono e un discreto numero di vocazioni.

 

Che messaggio vorrebbe mandare ad amministratori e responsabili delle istituzioni?

L’attenzione al rapporto fra etica e politica è irrinunciabile: con esso sta o cade “la vita giusta e prospera” della convivenza civile. Se la politica non può essere separata dalla morale, nessun appello al presunto rispetto del pluralismo in democrazia potrà mai giustificare il relativismo etico, che è il vero cancro di una società e dell’agire politico in essa. Purtroppo, è oggi riscontrabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A seguito di questa tendenza non è inusuale riscontrare in dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia. È bene ricordare sempre che il vero dramma dei totalitarismi che hanno infestato il XX secolo non è stato il disastro economico da essi prodotto o la brutalità della legge del più forte imposta a tutti, ma lo svuotamento delle coscienze rese impotenti dalla propaganda a reagire alla follia dei capi e così complici di essa. È a reagire a questo processo di sottile e pervasiva decadenza etica che chiama l’intervento costante del magistero episcopale in diocesi, in piena sintonia con quello della Santa Sede: tutti i temi concreti che vi sono accennati toccano l’essenza della moralità, traducendo nel vivo delle problematiche attuali le esigenze di quel grande codice della coscienza di tutti rappresentato dal Decalogo. La Verità etica non è barattabile in nome dell’utile o del più gradevole: essa obbliga tutti, e il rispetto dovutole è condizione di qualità della vita per tutti. Peraltro, il forte richiamo di questa insopprimibile esigenza etica non costituisce alcuna violazione della laicità della politica, né è segno di una nostalgia dell’unità politica dei cattolici e del “collateralismo” verso un’unica espressione partitica di essi. Solo una lettura miope e ispirata a pregiudizio ideologico potrebbe affermarlo. Se il cristiano è tenuto ad ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali, egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili. Il richiamo alla forza liberante della Verità in campo etico è servizio al bene di tutti, a quella convivenza costruita sul Codice etico fondamentale, senza il quale sono la menzogna e la barbarie a trionfare su tutto e su tutti.

 

Cosa può e deve fare una banca che, tra l’altro, ha come fondatore un sacerdote come don Epimenio Giannico e, pertanto, si ispira proprio ai principi della dottrina sociale cristiana?

La globalizzazione finanziaria è stata un fattore determinante della crisi economica mondiale di questi ultimi anni: il limite di fondo che l’ha caratterizzata è facilmente individuabile nella planetarizzazione squilibrata, sostanzialmente improntata al modello statunitense, senza il parallelo procedere di una corrispondente globalizzazione dei diritti umani e della democrazia. In tal modo, l’imporsi del mercato globale ha mancato un obiettivo primario, dimostrandosi incapace di promuovere una più equa ripartizione della ricchezza, servendo anzi a imporre la supremazia del mercato virtuale della finanza su quello della produzione e dell’economia reale. Per questo, la globalizzazione, in primo luogo quella finanziaria, ha urgente bisogno di correttivi etici. Si comprendono allora nella loro valenza anche economica anche in campo bancario alcune priorità ispirate all’etica della responsabilità e della solidarietà: proprio al fine di un corretto funzionamento del mercato è indispensabile che il rispetto del principio democratico di uguaglianza sia previsto e assicurato all’interno degli stessi meccanismi economici. È insomma del tutto inaccettabile una teoria che consideri e giustifichi l’interesse personale ed egoistico quale motivazione esclusiva o prevalente dell’agire umano nel campo economico. Specialmente nel campo della finanza, poi, quando essa sia doverosamente riportata al suo legame fondante con l’economia reale, occorre tener conto delle ragioni della solidarietà all’interno del processo economico. Un simile paradigma dovrà essere in grado di riconoscere il contributo della cosiddetta “economia civile”. In un tale quadro anche le banche sono chiamate a dare il loro contributo, abbandonando ogni logica di puro profitto o di ricerca assoluta delle garanzie e dei vantaggi negli interventi di promozione economica, per accettare il giusto rischio imposto dalle urgenze di un’imprenditorialità da sostenere e promuovere per uscire dal tunnel della crisi. Una tale azione dovrebbe riferirsi all’intera società civile, contribuendo a costruire capitale sociale, per promuovere uno sviluppo incentrato sulle comunità, che stimoli iniziative imprenditoriali locali (in particolare caratterizzate dall’attenzione ai senza lavoro, ai giovani e alle donne). È tempo che ciò che ha caratterizzato nella sua genesi storica e nel suo sviluppo la formula del credito cooperativo, venga riproposto come criterio economico universale, inseparabile dalla tensione etica e dall’attenzione alle categorie più deboli e bisognose di sostegno. Non si crescerà se non insieme!